Si può misurare la felicità?
Fonte: www.nuovomondosolidale.org
I misuratori del benessere: il PIL, il PIF, il BES e il POS
La buona notizia di fine anno: nel terzo trimestre del 2017 il PIL italiano è aumentato dello 0,5 per cento rispetto al trimestre precedente. Buona quanto? Buona per chi? La notizia ha ovviamente riproposto un acceso dibattito fra economisti, filosofi, sociologi e politici sul fatto che il PIL (prodotto interno lordo) è in grado di determinare la ricchezza di un Paese ma non la sua felicità. I miglioramenti della vita sul piano del reddito e della ricchezza economica non producono effetti duraturi sul benessere delle persone ma solo temporanei.
Il PIL, lo strumento di misurazione delle economie di tutto il mondo, l’indicatore su cui discutono e litigano economisti e politici, oggi viene messo in discussione da un’antica massima che recita: la ricchezza non dà la felicità! Per anni il PIL, inventato da Keynes, in un particolare momento storico in cui si doveva monitorare il danno della crisi americana del ’29, è stato l’unico indicatore che ha misurato il benessere di un popolo. Più il PIL cresce più aumenta la ricchezza di un Paese. Più consumi più il PIL cresce. Più il PIL cresce più consumi. Ma non sempre è così. Se succede un terremoto, il PIL cresce, se si scatena un incendio o sei incolonnato per ore in autostrada sicuramente il PIL cresce. Se c’è un’epidemia il PIL cresce ma non cresce sicuramente il benessere della collettività.
Ci si è accorti che non c’è correlazione tra la crescita del PIL e il benessere di un Paese. Serge Latouche, antropologo e filosofo della “Decrescita felice”, che ci ammonisce sul pericolo della crescita infinita in un pianeta finito, ha inventato il PIF (prodotto interno della felicità), e postula il concetto che il benessere di un popolo si misura non dalla ricchezza ma dalla felicità dei suoi abitanti. Un’affermazione vera per alcuni, consolatoria per altri, concettualizzata dal pensiero di Bauman che afferma che la sensazione di gioia non può più provenire dalla produzione e dal consumo: la crescita infinita è una pagnotta che non si può più produrre.
Il capitalismo sfrenato, il neo liberismo e la globalizzazione dei mercati non hanno mantenuto le promesse annunciate. Ed ecco allora che s’incrina il mito dell’idolatria del mercato, si appanna la “semiotica del consumo”, le merci perdono il significato di appagamento dei desideri inconsci, infastidisce il sistema comunicativo mediatico della reiterazione del messaggio pubblicitario. Insomma il consumatore si trasforma in cittadino consapevole e la felicità la cerca in altre vie.
Frédéric Beigbeder, uno dei più famosi pubblicitari americani in un momento di crisi di coscienza ha confessato nel suo libro: “ Sono un pubblicitario: ebbene si, inquino l’universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai… Io vi drogo di novità e il vantaggio del la novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma.” E già, la gente felice non consuma e sarebbe un bel problema per nostro sistema-pensiero-unico che basa la sua crescita preminentemente sul consumo.
A correre in soccorso dell’economia del benessere, basata non sul consumo ma sulla qualità della vita, sono arrivate anche le istituzioni pubbliche in particolare l’ISTAT che da qualche anno sta collaudando il BES ovvero il benessere equo sostenibile. Un progetto che ha coinvolto istituzioni, mondo della ricerca e organismi della società civile sul tema della misurazione del benessere individuale e sociale. L’ISTAT ha individuato 9 indicatori, che tengono conto sia di aspetti che hanno un diretto impatto sul benessere umano ed ambientale sia di quelli che misurano gli elementi funzionali al miglioramento del benessere della collettività e dell’ambiente che la circonda. Gli indicatori presi in esame sono: Salute, Istruzione e formazione, Occupazione, Qualità del lavoro, Reddito, Condizioni economiche minime, Relazioni sociali, Soddisfazione per la vita, Ambiente. Dall’elaborazione e dagli incroci di questi parametri potremo avere tante informazioni su come stiamo su cosa vorremmo per essere felici. I nuovi bisogni sono legati non più al consumo delle merci ma al mondo delle relazioni, dello studio, della qualità del lavoro e dell’ambiente, dell’attività artistica e creativa, della ricerca spirituale, dell’appartenenza, della solidarietà, dell’amicizia e della crescita culturale. Tante associazioni, organizzazioni, movimenti, giovani, da alcuni anni si stanno dedicando alla ricerca del nuovo benessere, di nuovi valori come paradigma di un mondo che sta cambiando, dove il denaro non è l’unico generatore di valori ma è la felicità, il benessere, l’armonia con se stessi e con la natura.
Le Banche del Tempo, per esempio, associazioni di promozione sociale ormai presenti in tutto il territorio nazionale, costituiscono delle micro società dove per lo svolgimento delle loro attività quotidiane non circola denaro ma scambio di tempo e di competenze e hanno utilizzato al loro interno come indicatore di crescita il POS (prodotto ore scambiate). Più ore scambiano tra gli associati più il benessere cresce, più la gente sta in compagnia più le relazioni s’infittiscono, più scambi più le tue esperienze crescono, più partecipi alle attività e meno resti nella tua solitudine.
Hanno trovato nella nuova economia relazionale un nuovo stile di vita per la ricerca del benessere e della felicità!
Armando Lunetta