L’economia solidale può salvare il mondo !
Abbiamo guardato tutti con grande interesse la nascita delle reti digitali che hanno rivoluzionato la nostra vita, il nostro modo di pensare, di agire, di vivere la quotidianità. Ormai non possiamo più tornare indietro, le piattaforme digitali hanno drogato la nostra vita. E poi il successo di questa grande invenzione si basa sulla gratuità dei servizi offerti, gratuità che paghiamo con il fatto di essere continuamente “sorvegliati” dai monopolisti dei service provider. Grazie a tutto questo è nata la sharing economy o l’economia della condivisione che come spiega l’articolo di Alessia Maccaferri su Nova 24 del Sole 24 ore, s’interroga sugli effetti introdotti dai paradigmi collaborativi. Ma poi questi paradigmi sono veramente collaborativi? Possono essere annoverati, come qualcuno all’inizio pensava, nei processi di economia solidale?
La rivoluzione digitale distrugge più posti di lavoro di quanti ne crei – ci ammonosce Jaron Lanier – nel suo ultimo libro “La dignità ai tempi di Internet”.
Ci rallegriamo di scoprire che sul Web tutto è «gratis» e «open», o sta per diventarlo, ma nel frattempo l’economia dell’informazione concentra sempre più potere e ricchezza nelle mani di pochi. Mentre celebriamo le virtù democratiche di Internet, consegniamo il futuro ai colossi che controllano i server centrali e traggono immensi profitti.
Facciamo qualche riflessione: Airbnb la società californiana leader nel mercato degli affitti brevi tra privati, presente in 191 paesi nel mondo che gestiste 2,5 milioni di annunci, valutata 30 miliardi di dollari, ha 600 dipendenti a fronte dei 300 mila delle catene alberghiere che gestiscono la stessa quantità di posti letto.
L’azienda fotografica Kodak all’apice del suo successo impiegava più di 140 mila persone e valeva 28 miliardi di dollari. Oggi la Kodak è fallita, il nuovo protagonista dell’economia digitale è diventato Instagram, una piattaforma digitale inventata dal giovane Kevin Systrom e venduta a Facebook per un miliardo di dollari e impiega solo 13 persone.
Uber, la società di San Francisco che fornisce servizi di trasporto automobilistico in alternativa ai taxi, con i suoi 10 miliardi di fatturato e una rete di 160 mila autisti ha 550 dipendenti in tutto il mondo.
Risulta allora evidente che questa nuova forma di economia risulta sempre più condivisa ma sempre meno solidale e il prezzo che viene pagato dalla collettività alla fine sarà molto alto.
Peccato – sostiene Nicola Cavalli in un articolo comparso su Left – che le imprese digitali vivano ancora oggi in un mondo di irresponsabilità fiscale che sottrae agli Stati potenziali entrate e restringe così gli spazi per una redistribuzione attraverso reti di protezione sociale. Dietro la patina dell’innovazione tecnologica si nascondono dunque una serie di rapporti che si possono studiare con categorie antiche: un mix di alienazione, sfruttamento del lavoro, sistematica elusione delle regole. In quanto tale, la sharing economy va normata e riconciliata con un principio di interesse pubblico, al di là delle difese corporative che, per la logica dello sviluppo tecnologico, sono altrimenti destinate a mostrare la corda.
Nell’attuale scenario economico, in presenza di un’irrimediabile crisi delle economie occidentali, il bisogno ed il ricorso ai principi di economia solidale acquista nuovo valore, soprattutto nell’ottica di un cambiamento radicale di mentalità e di prospettive, che potrebbero rendere interessanti i grandi mutamenti che ci aspettano.
Nascono su questa spinta le reti di economia solidale, i distretti, l‘associazionismo orientato alla persona, alle relazioni, alla cooperazione, si delineano nuovi bisogni, nuove domande di socialità, di solidarietà e di sostenibilità. Un esempio arriva dalle Banche del Tempo, una banca in cui non viene depositato denaro ma tempo da scambiare: tu fai una cosa per me e io faccio una cosa per te all’insegna della solidarietà, del dono e dell’amicizia. L’elemento distintivo di queste associazioni di promozione sociale è lo scambio di azioni, di servizi e di saperi, tra i soci e correntisti le cui competenze vengono messe a disposizione, secondo il principio della reciprocità, di chi può averne bisogno, per cui tutti sanno fare qualche cosa e chiunque può sentirsi utile. Per pagare non utilizzi denaro ma soltanto il tuo tempo. Il nuovo modello di economia è stato definito dagli economisti della new economy, che stanno preconizzando nuove forme di società che potrebbero avverarsi a seguito del declino della società neoliberista, l’economia solidale, della relazione, del dono e si diffonde dal basso come risposta ad una società competitiva, individualista e nichilista. Un modello di sperimentazione che opera già su tutto il territorio nazionale come luogo di scambio, di generosità e di aiuto per le difficoltà sociali ed economiche di tanta gente, come soluzione ai piccoli problemi quotidiani, alla solitudine e all’’inclusione sociale.
Armando Lunetta